Se prendessimo un campione casuale di persone e domandassimo che giorno è il 25 aprile, la risposta che la maggior parte darebbero è abbastanza (si spera) scontata: la festa della liberazione. Nel caso in cui il destinatario della domanda fosse però un astronomo, la risposta potrebbe essere ben diversa, in pieno stile Sheldon Cooper: il giorno della pubblicazione della seconda data release di Gaia (Global Astrometric Interferometer for Astrophysics).
Questo satellite è l'erede spirituale della missione Hypparcos posto a circa 1,5 milioni di km dalla Terra, nel punto langrangiano L2 del Sistema Terra-Sole (in pratica quel punto dello spazio in cui le forze gravitazionali dovute all'azione reciproca del Sole e della Terra si annullano, mantenendo l'orbita stabile).
Lanciato il 19 dicembre 2013, il suo compito è quello di mappare, con una precisione mai vista finora, le stelle della nostra galassia. In altre parole, si tratta di una missione prevalentemente astrometrica, volta perciò alla misura di parametri quali posizione e distanza degli oggetti. Nel settembre del 2016 è stata pubblicata la prima data release, contenente le osservazioni compiute tra luglio 2014 e settembre 2015, e che ha messo a disposizione della comunità astronomica un catalogo contenente la posizione di circa un miliardo di stelle, più la distanza calcolata con la tecnica della parallasse e il moto proprio (cioè la velocità di spostamento dell'astro rispetto al piano del cielo) per due milioni di queste.
Queste misure sono fondamentali per studiare la struttura e la storia evolutiva della Via Lattea, e da un punto di vista scientifico si è trattato sinora di un grande successo. Centinaia di pubblicazioni scientifiche hanno utilizzato i dati di Gaia, permettendo oltretutto di individuare nuovi oggetti, tra cui stelle e pianeti extrasolari.
Tuttavia è la seconda data release che gli astronomi di tutto il mondo attendono maggiormente, lo scrigno di Pandora che potrebbe aprire nuove porte per lo studio della Via Lattea, mettendo a disposizione della comunità scientifica la più dettagliata mappa mai realizzata della galassia in cui viviamo.
Nella pioggia di dati che sta per arrivare, basata sulla seconda tranche di osservazioni del satellite, saranno contenute le posizioni, le parallassi e il moto proprio per circa 1,3 miliardi di stelle. Inoltre per la maggior parte delle sorgenti, Gaia avrà anche misurato diversi parametri fotometrici, cioè relativi alla quantità di luce emessa, come la magnitudine e il colore.
Queste misure sono fondamentali per comprendere non solo la disposizione degli oggetti che compongono la Via Lattea, ma per studiarne anche la dinamica e i processi fisici, per capire come le singole stelle si distribuiscono e raggruppano in ammassi, oltre che per svelare i segreti riguardanti l'origine, l'evoluzione e il destino della Galassia.
E non finisce qui, perché la nuova data release includerà anche: le velocità radiali per circa 6 milioni di stelle, le temperature di 150 milioni di stelle e le curve di luce di qualcosa come mezzo milione di stelle variabili, tra cui Cefeidi e RR Lyrae. In particolare, quest'ultimo tipo di misura ha un'importanza fondamentale, perché dalla curva di luce è possibile risalire al periodo delle variabili e tramite questo alla loro distanza con grande precisione. Per questo motivo, queste particolari categorie di stelle sono definite "candele standard". Esse infatti costituiscono un gradino fondamentale della cosiddetta scala delle distanze cosmiche, in cui ogni gradino è costituito da particolare metodo di misura della distanza e utilizzato come calibratore per lo step successivo, in modo da spingersi sempre più in là nel Cosmo. Non dimenticate infatti che la misura delle distanze degli oggetti è fondamentale in astronomia. Quando si osserva il cielo, si guarda una struttura a tre dimensioni proiettata su di un piano bidimensionale, che è appunto quello del cielo stesso. Misurare la distanza degli astri è perciò essenziale per capire di cosa si sta parlando, anche perché va detto che la distanza di un oggetto ci dà indicazioni sulla sua età, a causa della velocità finita della luce.
Infine, Gaia guarderà anche al nostro Sistema Solare, fornendo anche le posizioni di 13.000 oggetti in esso contenuti, principalmente asteroidi.
Una tale mole di dati è quanto più si avvicini al paradigma dei Big Data applicato all'astronomia, e già diverse volte in passato abbiamo avuto modo di discutere su come la gestione di questi dati e la possibilità di effettuare nuove scoperte sia fondata sull'applicazione di tecnologie innovative in campo astronomico, come il deep learning, la realtà virtuale e così via.
In effetti, da questo punto di vista, Gaia è il primo strumento di nuova generazione ad essere operativo, una sorta di precursore dei vari James Webb Telescope, E-ELT, SKA, e così via.
Nel frattempo, Gaia continuerà a lavorare, poichè a dicembre 2017 l'ESA ha annunciato l'estensione della missione, dagli iniziali cinque anni previsti, e dovrebbe ora proseguire sino al dicembre 2020.
Di sorprese, insomma, potrebbe ancora riservarne tante.
Antonio D'Isanto è dottorando in astronomia presso l'Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania. La sua attività di ricerca si basa sulla cosiddetta astroinformatica, ovvero l'applicazione di tecnologie e metodologie informatiche per la risoluzione di problemi complessi nel campo della ricerca astrofisica. Si occupa inoltre di reti neurali, deep learning e tecnologie di intelligenza artificiale ed ha un forte interesse per la divulgazione scientifica. Da sempre appassionato di sport, è cintura nera 2°dan di Taekwondo, oltre che di lettura, cinema e tecnologia. Collabora con Tom's Hardware per la produzione di contenuti scientifici.
Come siamo arrivati a scoprire quello che sappiamo dell'Universo? Leggete il libro Oltre la Via Lattea. Gli scienziati che hanno misurato l'universo.