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a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Disincanto è finalmente tra noi!

La nuova serie di Matt Groening è approdata su Netflix il 17 agosto con i primi 10 episodi, con altri 10 in cantiere per una seconda stagione, la cui data di messa in oda, tuttavia, non è ancora certa.

Groening si diverte di nuovo a viaggiare nel tempo, e se con Futurama ci aveva offerto la sua visione del mondo del domani, tra robot, alieni chelati e improbabili ipnorospi, con Disincanto l'estroso genio dell'animazione compie un lungo salto all'indietro, andando ad esplorare (o se volete "contaminare") il mondo del medieval-fantasy, nella sua accezione più classica composta da principesse, cavalieri, elfi e amenità varie.

Ma com'è Disincanto? Cosa dovete aspettarvi dalla serie di Groening? Varrà il vostro tempo o no?

Togliamoci subito il dente: Disincanto vale assolutamente la visione, non fosse altro per l'affetto che si prova per Groening. Siamo dinanzi ad una serie animata di indubbia qualità che, specie sotto il profilo tecnico ed artistico, offre allo spettatore uno spettacolo visivo notevole e piacevole.

Eppure se c'è chi si aspetta dalla serie la buffa stupidità di Homer o le battutacce da pappone in stile Bender, dovrà forse fare un passo indietro.

poster di disincanto al sdcc 2018 (1)

Disincanto è infatti estremamente diversa dai precedenti prodotti di Groening e riesce specie nei primi episodi a lasciare un attimo interdetti.

Il divertimento c'è ma è evidente che la maturità artistica e narrativa di Groening vogliono trainare lo show al di la della commedia più tipicamente "simpsoniana", cercando di spiazzare lo spettatore con alcune riflessioni sul senso della vita e sul proprio posto nel mondo.

Il tutto ovviamente tenendo presente un certo fascino per il grottesco, di cui la serie spesso abbonda.

A Matt Groening abbiamo recentemente dedicato un approfondimento che ne esplora lo stile, le tematiche e i riferimenti artistici. Dategli un'occhiata!

La protagonista assoluta è la Principessa Bean, incapace di assoggettarsi alle volontà di suo padre che la vorrebbe felicemente maritata (come da tradizione per ogni principessa delle fiabe), e che invece si lascia tentare dal demone Luci sulla strada della malavita e dell'alcolismo

Piccolo, nero, decisamente malvagio e nichilista.

A contrapporsi al male del demonietto c'è invece Elfo, che stanco della sua vita da fabbricante di caramelle (destino che sembra già scritto per tutti gli elfi della sua specie), cerca di fare da "grillo parlante" per la Principessa, salvo combinare solo disastri a causa della sua imbranata e sbadata goffaggine ed alla sua tendenza a farsi deviare - anche lui - verso la strada sbagliata.

Disincanto si gioca su questo triangolo emotivo, o se vogliamo sulla contrapposizione tra le tre filosofie di vita, i tre modi di vivere, dei suoi personaggi. La disillusione di Bean, il nichilismo di Luci, la totale fiducia nel prossimo di Elfo.

Vuoi scoprire alcuni degli easter egg presenti nella serie? Leggi l'articolo che gli abbiamo dedicato!

Tre punti di vista che, inevitabilmente, si fondono e si scontrano creando situazioni improbabili e divertenti, in cui tuttavia non c'è mai la ricerca - da parte di Groening - di una risata forzata, ma piuttosto la volontà di generare nello spettatore un riflessione su sé stessi.

Compreso questo si può forse capire la bontà di Disincanto che, certamente, agli occhi dei più potrebbe risultare come un banale tentativo di ripercorrere un cliché tanto vecchio come quello della principessa delle fiabe.

Immaginare, infatti, che il carattere sovversivo di Bean sia tale per la semplice necessità di voler presentare una principessa fuori dallo stereotipo risulterebbe, senza mezzi termini, una banalizzazione.

Bean, infatti, come la Fiona di Shrek (di cui evidentemente riprende il modello quasi in toto) non è solo una principessa che non ha bisogno di farsi salvare, ma è soprattutto una donna alla ricerca della propria identità.

Confusasi troppo tra le aspettative, i desideri e i vizi della figura (retorica) in cui è stata incastrata dagli altri.

Bean pecca, sbaglia e rutta perché vuole, non perché "non dovrebbe", ed è su questa differenza sottile ma fondamentale che si gioca il senso della sua figura e, infine, dell'intera narrazione.

Si sente fortissima, giusto per restare in casa Netlix, l'influenza del modello di Bojack Horseman. Lo stesso peso, la stessa difficoltà nel rapportarsi prima con sé stessi, e poi con gli altri.

Lo stesso gioco con cui si costruiscono le vicende che, per quanto paradossali e sospinte da una verve da commedia, finiscono per sfociare nel dramma, che dalla risata viene stemperato, ma brevemente e senza alcuna privazione d'empatia da parte dello spettatore.

Bean, come Bojack, è protagonista di un racconto drammatico che ha, come fine ultimo, quello dell'indagine sulla condizione umana. Una riflessione che, alla fine dei giochi, chiede ai suoi protagonisti di fare i conti con sé stessi e con i propri vizi.

Ecco, Disincanto muove più o meno gli stessi passi, proponendosi da subito come il lavoro più maturo di Groening e, proprio per questo, imparagonabile con la produzione precedente dell'autore.

Non che la maturità mancasse, ed anzi anche Futurama ci aveva spesso portati sull'orlo di considerazioni notevoli, che dal senso della scienza alla religione, si erano furbescamente nascosti (a volte neanche troppo) tra le trame dei suoi episodi.

La differenza è che Disincanto è meno subdolo, più diretto, e non pretende di farci ridere per forza, motivo per cui per qualcuno sarà forse semplice glissarlo, non trovando in esso la stessa "superficiale" verve comica che invece caratterizzava i precedenti lavori di Groening.

Disincanto, in buona sostanza, viaggia su binari completamente diversi rispetto ai Simpson o a Futurama. In primis a causa della sua natura seriale, che propone un racconto molto più coeso e strutturato rispetto ai due show che, in fin dei conti, godevano di ben poca verticalità narrativa.

La storia di Bean è evidentemente pensata per essere raccontata in puntate, ma se così non fosse potrebbe essere goduta come un lungo, lunghissimo film, un po' secondo il principio caro a Netflix e che, per l'appunto, è stato brillantemente portato avanti con il mai troppo lodato Bojack.

Disincanto, inoltre, si prende la briga di stringere lo spettro della sua satira dai precedenti sistemi (la famiglia per i Simpson, la società tutta in Futurama) per rifarsi direttamente all'uomo, alla donna, ai singoli, ed a come questi vivono e si rapportano con gli altri che, in fin dei conti, altro non sono che comprimari di vite che vanno la pena di essere vissute all'insegna di un una completa disillusione.

Già solo per questo è ovvio che il risultato, a prescindere dalla mano che disegna, è distantissimo dai due storici lavori di Groening, il cui paragone non solo risulterebbe ai più come impietoso, ma finirebbe persino per guastarvi la visione di quello che, preso da solo, senza considerare alcun retaggio, è uno show ben scritto e, tutto sommato, molto godibile.

Guardatelo, cercando di superare il primo impatto. Cercando, insomma, di non pensare per forza ai Simpson, alla loro comicità ed alla loro rodata capacità di far ridere.

Concentratevi solo su quello che vi trasmette la visione dello show in sé e vedrete che, nonostante qualche titubanza, ve la godrete.


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