La sindrome da dipendenza dal lavoro è un fenomeno che negli ultimi anni ha visto una crescita significativa, soprattutto in concomitanza con l’aumento dello smart working. Se da un lato il lavoro agile offre opportunità di flessibilità e autonomia, dall’altro ha creato un ambiente in cui per molte persone è sempre più difficile stabilire confini tra la vita lavorativa e quella personale.
In questo contesto alcuni individui trovano particolarmente arduo “staccare la spina”, finendo per lavorare a tempo indeterminato e non riuscendo a gestire lo stress accumulato. Questo può sfociare in condizioni patologiche che impattano non solo sulla salute fisica e mentale, ma anche sulla vita relazionale e sociale.
Personalmente mi trovo spesso a lavorare per molte ore al giorno, weekend, sera e feste comprese, ma non ho mai considerato il lavoro come qualcosa che mi crea stress, di conseguenza non significa che “chi lavora molto, ha un problema”. Tuttavia non tutti siamo uguali, e non dobbiamo sottovalutare il rischio che una fonte di stress possa trasformarsi in una condizione patologica. Cerchiamo di capire meglio di cosa stiamo parlando con il supporto di Valeria Fiorenza Perris, psicologa di Unobravo.com.
Nonostante questo, possiamo considerarla come parte delle dipendenze comportamentali, come ad esempio il gioco d'azzardo, lo shopping compulsivo o la dipendenza da internet, cioè tutti quei comportamenti in cui l'azione stessa diventa l'oggetto della dipendenza. Ci tenevo a fare questo piccolo quadro introduttivo per sottolineare quanto non debba essere sottovalutata.
Questo tipo di quadro sintomatologico può infatti avere un impatto significativo nella vita delle persone, con una sintomatologia associata presente, reale e tangibile, che comprende sia aspetti psicologici che ripercussioni fisiche e somatiche.
Come possiamo distinguere una vera e propria dipendenza da lavoro dal semplice amore o piacere nel proprio lavoro, che porta a lavorare molto? La differenza sta nell'atteggiamento che si ha nei confronti del lavoro stesso. Se il lavoro diventa un pensiero ossessivo, o se si trasforma in una compulsione, significa che è un comportamento a cui non possiamo rinunciare, che sfugge alla nostra volontà. Lo mettiamo in atto quasi inconsapevolmente, senza la possibilità di porre limiti o confini, sia in termini di ore impiegate, sia rispetto alle diverse attività che svolgiamo durante la giornata, che non sono solo lavorative.
Tutto questo configura una situazione che è senz'altro di una gravità superiore.
A questo si aggiungono anche le conseguenze fisiche: disturbi del sonno, difficoltà a dormire e un peggioramento della salute fisica generale, come mal di testa o mal di stomaco. Questi disturbi possono rientrare tra quelli psicosomatici.
Inoltre, non va assolutamente sottovalutato l'impatto che tutto questo ha sulla vita relazionale. Pensiamo a quanto possa incidere negativamente sulla vita di coppia o sul nostro ruolo come genitori. Anche le relazioni amicali ne risentono. Tutto questo ha un impatto estremamente importante sull'intera vita quotidiana, influenzandola in modo negativo.
Oggi abbiamo sempre con noi telefoni e dispositivi, e spesso nei contesti lavorativi esiste un "numero di emergenza" che viene usato anche oltre i casi di vera emergenza. Tutto questo sicuramente può contribuire allo sviluppo di una dipendenza da lavoro, ma è importante che riusciamo a riconoscere questi segnali.
Non è sempre facile accorgersi dei micro-segnali d'allarme che emergono nella quotidianità. Magari un giorno pensiamo semplicemente di essere stanchi e di non avere tempo per la nostra famiglia, ma da qui a trascurare aspetti della propria personalità o identità, il passo può sembrare breve. Tuttavia, bisogna prestarci attenzione, perché è cruciale mantenere un costante focus sulla propria emotività.
Spesso, in questi casi, l'autostima della persona dipende esclusivamente dal piano lavorativo, da quanto riesce sul piano professionale. E questo si collega al discorso che facevo poco fa: tutte le altre fonti di gratificazione finiscono per essere poco valorizzate, se non del tutto sminuite. Tutto ciò, ovviamente, non funge da fattore protettivo, soprattutto in un contesto lavorativo particolarmente esigente, concentrato sulla performance e che sottovaluta l'impatto di vivere costantemente a un ritmo accelerato sulle persone.
Certo, questo può influire, così come la storia personale e di vita di ciascuno di noi, che rende unica l'esperienza di ogni individuo, non assimilabile a quella degli altri.
Questo comportamento, essendo una dipendenza, ha un impatto non solo su di noi ma anche su chi ci sta attorno. Come tutte le forme di dipendenza, non riguarda solo la persona che ne soffre, ma anche la rete familiare e sociale. Pensa a quanto le persone che magari avrebbero bisogno del supporto di quella persona non possano riceverlo, o debbano addirittura prendersi carico delle mancanze che si creano a livello sociale, familiare e amicale, a causa delle assenze concrete. Investire tutte le risorse in un solo ambito della propria vita significa inevitabilmente trascurare altri aspetti, perché abbiamo risorse limitate di tempo ed energia.
Questo ha un impatto anche su altre dimensioni della nostra vita, e qualcuno deve farsi carico di queste mancanze. Tutto ciò porta a un livello alterato di malessere, non solo per chi soffre di questa dipendenza, ma anche per le persone attorno. Spesso, chi si concentra così tanto su un solo aspetto della vita, come il lavoro, si ritrova a gestire ambizioni irrealistiche e livelli di perfezionismo che aumentano il disagio. Paradossalmente, chi è così preoccupato per un solo ambito della propria vita ne soffre anche di più, notando maggiormente le cose che non vanno bene o i processi imperfetti. Questo rende difficile anche la convivenza sul lavoro con i colleghi e i superiori.
Senza considerare che l'esito finale più conclamato potrebbe essere il burnout, lo sviluppo di una sindrome che, come sappiamo, è diagnosticata e riconosciuta. È fondamentale prevenire la degenerazione di questi sintomi perché l'impatto che i comportamenti legati alla dipendenza da lavoro possono avere sulle persone è estremamente significativo da tantissimi punti di vista.
Questo, ovviamente, deriva da fattori esterni, che possono essere legati all'organizzazione sociale e lavorativa del contesto aziendale, ma anche da fattori individuali, come la propria storia di vita, la capacità di tollerare la frustrazione, l'errore o la disorganizzazione. Certamente, la disorganizzazione e la sensazione di non essere ascoltati in un contesto lavorativo, rispetto ai propri bisogni e a ciò che migliorerebbe le condizioni lavorative, possono contribuire in modo significativo.
Pensa, per esempio, al personale medico durante la pandemia di Covid. Lì, il burnout era frequente proprio a causa del livello di dolore e sofferenza con cui si trovavano a confronto. Il senso di impotenza spesso prevaleva. Ci sono state storie molto toccanti e dense dal punto di vista emotivo, che ci fanno capire cosa hanno vissuto in quei momenti. Questo rappresenta l'estremo, il punto a cui possiamo arrivare se non ci prendiamo cura tempestivamente di ciò che proviamo sul nostro posto di lavoro, un aspetto che inevitabilmente incide su tutte le altre sfere della nostra vita.
Ascoltare il nostro senso di frustrazione, il disagio e le difficoltà è qualcosa di cui dobbiamo prenderci cura. Occuparsene significa essere in grado di agire e chiedere aiuto, il che non è affatto scontato, poiché molte persone non arrivano a questo punto, portando poi a situazioni più complesse. Quello che dobbiamo fare è intervenire tempestivamente quando avvertiamo un senso di malessere, rivolgendoci ai professionisti giusti, qualificati, che possano supportarci in questo percorso di esplorazione.
Un percorso di terapia o di supporto psicologico può essere prezioso in questi casi, aiutandoci a trovare nuove strategie per gestire ciò che non sta andando bene in quel momento. È importante però essere consapevoli che si tratta anche di un lavoro introspettivo: siamo noi, con il supporto di un esperto, a dover affrontare e risolvere ciò che dentro di noi genera disagio. Questo disagio è diverso da persona a persona, perché ognuno di noi ha una storia e dei vissuti soggettivi che devono essere trattati in modo unico e personale.
Allora, la questione è: riesco davvero a mettere questi limiti? A tracciare questi confini? A volte, farsi delle domande è più utile che cercare subito delle risposte. Sto facendo esempi di vita quotidiana, ma il concetto è che forse il primo passo è riflettere sulla nostra capacità reale di apportare dei cambiamenti. Se non riesco a farlo da sola, allora non devo avere alcun dubbio nel rivolgermi a un esperto, perché chiedere aiuto è assolutamente necessario quando si prova malessere.
I professionisti della salute mentale esistono proprio per questo. Lo psicologo è lì per offrirci supporto, sostegno e per pensare insieme a noi a nuove strategie e dinamiche alternative che possiamo mettere in atto per affrontare il malessere che stiamo vivendo. Perciò, il mio consiglio è di rivolgersi a un esperto, senza esitazione.
La modalità online risolve molti di questi problemi, offrendo un'opzione comoda per chi ha una routine complicata. Accedere a Unobravo è molto semplice: basta collegarsi al nostro sito, compilare il questionario, e saremo noi a collegare la persona a un professionista qualificato, basandoci sulle informazioni fornite, sui suoi bisogni e sulle sue necessità. In questo modo, l'accesso al servizio diventa davvero facile e immediato.