Di recente Sony si è resa protagonista di due vicende poco edificanti. Prima il colosso giapponese ha rimosso molti contenuti digitali dalla libreria di utenti che li avevano regolarmente pagati. Poi, poche ore dopo, diversi utenti Playstation si sono visti l’account sospeso, perdendo l’accesso a giochi che avevano acquistato.
Non è la prima volta che Sony ha problemi più o meno seri con gli account e i dati dei propri utenti, e per alcuni di noi il pensiero è stato ma possibile che siano sempre di mezzo loro? Forse l’azienda fondata da Morita e Ibuka è stata particolarmente sfortunata, o forse si tratta semplicemente di gestione maldestra.
Una cosa è certa però: come ricorda Jay Peters su The Verge questi fatti rendono evidente come i beni digitali rappresentino ancora un problema da risolvere, oltre che una gradevole evoluzione.
Tutto gira intorno a una parola, e a un concetto che va via via cambiando: proprietà.
Se una cosa è “mia”, che cosa significa esattamente? Sembra una domanda facile ma non lo è affatto, e infatti il concetto di proprietà non è stato sempre uguale nel corso della storia, né è uguale a sé stesso in ogni parte del mondo. Anzi, interpretazioni diverse hanno a volte costituito un eccellente spunto narrativo - vedi i goblin (folletti) nella saga di Harry Potter.
Il vocabolario Treccani ci dice che la proprietà è “Diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.
Ecco, la differenza tra fisico e digitale significa che ci sono più limiti nel secondo caso. Se compro un film in DVD o un libro di carta, a un certo punto posso prestarli un amico, farne un regalo, rivenderli come usati. Nel caso di un bene digitale, invece, avrò diritto a vedere quel film o leggere quel libro solo finché piacerà al venditore. E finché accetterò di essere loro cliente; ma almeno per ora avere semplicemente un account non ha costi fissi. Domani però Microsoft potrebbe dirmi sai cosa, da oggi avere un account con noi costa 10 euro al mese. L’accesso ai tuoi contenuti è riservato ai clienti che sottoscrivono l’abbonamento.
Non è successo nulla del genere finora, ma la differenza è chiaramente enorme.
Il fatto è che qui si è passata la misura
Alcuni si limitano a commentare con sufficienza che sta tutto scritto nei termini d’uso, quella sorta di contratto che tutti dobbiamo accettare per poter usufruire di un servizio. “Ho letto i termini e condizioni”, basta un click e possiamo finalmente comprarci giochi e film senza pensiero.
Solo che poi il venditore può negarci quel “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”. Si perché se il bene digitale me lo togli, allora non siamo andati ben oltre l’osservanza di limiti e obblighi, no?
Non è certo un tema nuovo, ma i recenti fatti accaduti intorno a Sony ci aiutano a ricordare che il problema non è ancora risolto.
Le aziende continuano a scrivere “acquista” nei loro shop digitali, come se automaticamente ci fosse davvero un trasferimento di proprietà. Solo che ovviamente non è così, noi non siamo davvero proprietari del bene digitale, tant’è che Sony (o altri) che li può togliere come niente fosse.
Ma io ti denuncio!
Tutti noi consumatori sentiamo lo stesso senso di impotenza: di fronte a un abuso simile da parte del fornitore di servizi, sentiamo di non poter fare proprio nulla. Io da solo denunciare un gigante come Sony, o Microsoft, o Amazon o chi per loro? Impossibile naturalmente, ma proprio per questo esiste lo strumento della class action - che nella maggior parte delle situazioni è un’arma spuntata e ben poco efficace. Ammesso che si riesca a crearne una per questi temi, ottenere qualche risultato sarebbe praticamente impossibile.
Servirebbe che una qualche autorità, magari potrebbe essere l’Unione Europea, prendesse davvero la parte dei consumatori. E servirebbe che dicessero qualcosa del genere: il bene digitale è proprietà di chi lo acquista. E che poi spiegassero diritti e doveri di entrambe le parti.
Per esempio, se Sony fosse legalmente tenuta a rimborsare tutti i contenuti persi, forse le cose andrebbero diversamente. E già che siamo in argomento, sarebbe fantastico se potessimo far passare un principio più ampio: se compro un bene digitale resta mio a prescindere dai fornitori, che sono quindi obbligati a facilitare la migrazione dall’uno all’altro.
Così magari potrei avere una sola libreria delle mie cose, che sia agnostica rispetto al luogo dove ho comprato i vari beni digitali. Che poi è quello che succede con i beni fisici: se compro libri e videogiochi li tengo tutti nella stessa libreria, che vengano da Game Stop, da Feltrinelli, da Amazon o altrove. Sarebbe una cosa difficile da fare, ma non impossibile.
Al momento tuttavia una legislazione simile non sembra nemmeno immaginabile, figuriamoci possibile. Certo, esistono alcuni legislatori che vorrebbero intraprendere questa direzione, ma ce ne sono tanti altri a cui non importa. Senza dimenticare che stiamo parlando di aziende tra le più potenti del mondo, che possono contare su attività di lobbying incredibilmente efficace.
Dunque, il bene fisico sta scomparendo per sempre e quello digitale ci fa perdere il ruolo di veri proprietari. E per come stanno le cose ora, pare, non possiamo fare praticamente nulla per evitarlo.
Naturalmente se non ci fossero stati i due recenti incidenti in casa Sony non saremmo qui a parlarne. E in qualche modo, forse, ci resta pur sempre la scelta di rifiutare i termini e condizioni, ma se poi non ci sono alternative per accedere ai contenuti che voglio, non si può dire che sia una vera scelta.