Mercoledì scorso Elon Musk ha diffuso la scelta di Tesla di non accettare più pagamenti in Bitcoin per i suoi veicoli. L'azienda è tornata sui suoi passi, dopo che aveva introdotto le criptovalute come metodo di pagamento a marzo 2021. La scelta è stata motivata asserendo che il mining di criptovalute abbia consumi e impatto ambientale eccessivi. Una posizione netta, che sta scatenando numerose reazioni da parte dei media, dei ricercatori e anche della politica. Qual è l'impatto ambientale del mining e delle transazioni con le criptovalute?
L'impatto ambientale delle criptovalute può essere forte, come dimostrano i blackout verificatisi in Iran lo scorso febbraio. I consumi, assieme all'uso per scopi criminosi, sono una delle motivazioni che ha spinto Cina e India a sanzionare fortemente le criptovalute, mentre la Turchia ha scelto di sottoporle alle norme contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo. Di fronte a quanto accaduto in Iran, anche il Segretario al Tesoro degli Stati Uniti si era espresso sulla questione: in un intervento nel corso del ciclo di conferenze del "New York Times DealBook", Janet Yellen ha affermato che "nella misura in cui è usato [il bitcoin, ndr], temo che sia spesso per finanza illecita. È un modo estremamente inefficiente di effettuare le transazioni, la quantità di energia che viene consumata nel processarle è impressionante". Una posizione in linea con le scelte della presidenza Biden, che ha già abrogato le scelte dell'amministrazione Trump in materia di ambiente e sostenibilità.
Le criptovalute danneggiano davvero l'ambiente? La risposta è complessa, come riportano le analisi tenute dal Nasdaq, dall'Università di Harvard e da un articolo scientifico realizzato da università USA e cinesi e pubblicato da Nature Communication. È difficile quantificare con chiarezza i consumi del mining di criptovalute, perché la loro estrazione si concentra in Cina. Ma sappiamo che la Repubblica Popolare è ancora fortemente dipendente dal carbone e che ciò che accade nelle miniere ha forti ripercussioni sulle criptovalute. Un esempio: come riportato da Coindesk ad aprile 2021, la chiusura di una miniera di carbone nello Xinjiang ha portato a un crollo di quasi un quarto dell'hash rate del bitcoin. Ripercussioni simili si sono verificate anche in altri casi, come per i divieti in Cina, India e Turchia che vi abbiamo riportato poco sopra.
D'altro canto, è difficile dire con certezza quale sia la fonte di energia principalmente usata dalle factory di Bitcoin. Sicuramente il volume di transazioni in criptovalute non è comparabile ai volumi (e ai consumi) del sistema bancario tradizionale e delle transazioni in valute comuni. In più, come afferma il sito Investopedia, esistono delle criptovalute "minori" che non richiedono il mining per acquistare valore. Quindi la questione ambientale si legherebbe ad alcune, specifiche criptovalute oggetto di speculazioni finanziarie. Una posizione che è sostenuta anche dal prof. Carol Alexander della University of Sussex Business School. Secondo Alexander il dibattito sull'impatto ambientale delle criptovalute potrebbe essere fuorviante, perché non considererebbe e problematizzerebbe il luogo in cui il bitcoin assume valore economico. Lo scambio di gran parte delle criptovalute più usate, non avviene sulla blockchain ed essendo effettuato "[...] su mercati secondari, attraverso scambi centralizzati. Non sono nemmeno registrati sulla blockchain" porrebbe un problema del valore della moneta, antecedente la questione dei suoi consumi ed effetti ambientali.
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