Il cifrario di Giulio Cesare

La società umana trova tra i propri fondamenti il segreto, cioè l'informazione che alcuni controllano ed è esclusa ad altri. Per assicurarsi che questa colonna non crolli abbiamo inventato mezzi sempre più sofisticati per rendere i nostri messaggi illeggibili agli altri.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Il cifrario di Giulio Cesare

Giulio Cesare è famoso per molte cose, una delle quali è il suo codice di cifratura, uno dei più famosi della Storia. Il sistema è semplice: ogni lettera viene sostituita con quella che viene tre posti dopo nell'alfabeto, quindi a ogni "A" corrisponderà una "D", e così via. Oggi ogni sistema simile, cambiando il numero di posti "spostati" prende il nome di "Cifrario di Cesare". È anche possibile applicare il cifrario di Cesare più di una volta, per rendere più difficile la decodifica, o ancora aggiungere un'operazione algebrica alla semplice trasposizione. Augusto, nipote di Cesare, usava lo stesso sistema e alcuni sostengono che ne avesse uno più solido.

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Considerando le 26 lettere dell'alfabeto internazionale, sono possibili 25 possibili cifrari di Cesare (lo zero non conta): un computer potrebbe tentare tutte le possibili combinazioni in un batter d'occhio, e di sicuro i nemici di Cesare avrebbe potuto impegnare 25 persone per fare in fretta; ma all'epoca non sarebbe stato semplice trovare 25 persone capaci di farlo e degne di fiducia.

Quest'ultimo è il concetto di attacco brute force, il vero antagonista di ogni sistema crittografico. È quasi possibile impedire a qualcuno di provare tutte le possibilità fino a trovare quella giusta, ma è possibile inventare sistemi che rendano questa operazione tremendamente lunga e faticosa.

Semplice, sì, ma non un gioco da ragazzi. Tanto che ancora pochi anni fa un sistema simile fu usato da Bernardo Provenzano, e ci volle un impegno piuttosto serio per decifrarlo – anche se il problema più grande fu associare i numeri a persone in carne e ossa. In questo caso a ogni lettera veniva assegnato il suo numero di apparizione dell'alfabeto e poi si sommava 3 (quindi C=3+3=6). Il messaggio appariva come una serie di numeri a chi non conosceva la chiave.

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Immagine: cryptomuseum.com

Secoli più tardi però il matematico Al-Kindi avrebbe scoperto l'analisi delle frequenze. Considerando che alcune lettere sono più usate di altre, il lavoro di decodifica diventa più semplice se prima di tutto si individuano i simboli più frequenti e li si associano a lettere. Per contrastare questo tipo di analisi, già nel XV secolo, si introdusse la pratica di assegnare più simboli alle lettere più frequenti, rendendo così impossibile individuarle.

Risale al XIV secolo, invece, l'introduzione delle nulle, vale a dire simboli che appaiono nel messaggio crittografato ma che non si "traducono". Un eventuale sforzo di decodifica diventa molto più impegnativo.

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