Le serie TV sono quasi universalmente riconosciute come un apprezzato prodotto di intrattenimento, adatto a staccare la spina una volta rientrati a casa da una faticosa giornata. Un prodotto che negli ultimi anni è cambiato molto, in meglio, come testimoniano Breaking Bad, True Detective o Gomorra. Serie eccellenti che, tuttavia, restano appunto semplici prodotti di intrattenimento, graziati da interessanti spunti di riflessione.
Black Mirror è un caso anomalo in questo panorama. Abbiamo già parlato della prima stagione e della seconda, descrivendo l'opera dell'inglese Charlie Brooker è uno dei prodotti di satira più graffianti e cattivi degli ultimi dieci anni. L'intento dell'autore è sempre stato quello di mettere in guardia sugli usi sconsiderati della tecnologia, la quale può essere tanto salvezza quanto condanna del genere umano.
Non c'è da sorprendersi troppo se Black Mirror sia presto diventato un prodotto scomodo per i dirigenti di Channel 4, che dopo lo speciale di Natale White Christmas hanno tarpato le ali a Brooker e messo il progetto in un limbo indefinito. A questo punto è intervenuta Netflix, che ha lo ha acquistato per farne un Original Netflix e ha messo subito in cantiere una terza stagione esclusiva, con il doppio degli episodi. È disponibile dallo scorso 21 ottobre.
Il nuovo show sfrutta schemi narrativi più classici, che rendono il prodotto più digeribile da seguire, ma allo stesso tempo ne riducono l'impatto critico, ovvero il fattore che in passato risultava il pilastro fondamentale dell'esperienza Black Mirror. Ma questa nuova angolazione non rovina la visione delle sei nuove storie, che risultano tecnicamente e visivamente le migliori mai realizzate fino ad ora, sicuramente grazie all'intervento di Netflix.
Il primo macro tema che lega questa stagione è il mondo dei social network (Facebook, Twitter e affini) e il loro impiego nella realtà sociale. Lo vediamo in maniera evidente nel primo episodio Nosedive (Caduta Libera), dove in un futuro dai colori pastello il rango sociale di un individuo è dettato da un punteggio da 1 a 5 determinato dal gradimento popolare sui social e da incontri nel mondo reale. La società qui tratteggiata non è molto differente dal nostro presente, dove il maggior numero di like dona un senso di appagamento personale, e dove siti aggregatori di recensioni di film come Metacritic o Rotten Tomatoes definiscono in numeri il lavoro delle persone, basandosi anche sul giudizio delle masse.
Discorso simile per l'ultima puntata Hated by Nation (Odio universale), un lungo e intricato thriller che analizza e condanna duramente il fenomeno dell'hating online. In un'epoca che vede i social network un territorio dove si si scambiano minacce di morte come saluti, il peso delle parole è quasi nullo ma l'impatto sulla psiche delle vittime bullizzate è rimasto lo stesso.
Si esce dal contesto fantascientifico con Shut up and dance (Zitto e Balla), una puntata dedicata allo stalking e ai ricatti online, crimini che oggi sono diventati particolarmente facili da perpetrare, proprio grazie all'ubiquità della tecnologia. Poco importa conoscere il volto e le reali intenzioni degli aggressori, il focus della puntata è analizzare le reazioni del gruppo coinvolto alle folli richieste dei loro aguzzini, in una puntata piena di tensione psicologica e un finale amaro, nel perfetto stile classico di Black Mirror.
L'altro leitmotif ricorrente è l'utilizzo della realtà virtuale, usata in Black Mirror con una tempistica precisa: il momento è proprio quello in cui Playstation VR, HTC Vive Oculus Rift e simili sono sulla bocca di tutti. Nell'episodio questa tecnologia è una realtà assodata: con Playtest (Giochi pericolosi) si affronta subito il tema nel campo ludico, in questo caso con le esperienze horror. La puntata prende ispirazione dal film ExistenZ (1999) di David Cronenberg, il primo a mettere in guardia sui rischi del mondo virtuale e della possibilità di perdersi in un labirinto contorto creato dalla nostra mente. Anche il finale ha forti rimandi ai plot twist più complessi e spaesanti dell'opera originale.
Per la prima volta ci spostiamo nel contesto militare nella puntata "Men Against Fire" (Gli uomini e il fuoco), forse la più debole della stagione, ma densa di idee e significati, dove lo sceneggiatore opera un capovolgimento della struttura tipica della serie: la tecnologia si rivela gradualmente e a ritroso e permette di mostrare quanto è stato rimosso dalla percezione del protagonista, fino a porlo di fronte alla sconcertante verità finale. In un momento in cui si parla tanto di immigrazione e xenofobia, la profezia che azzarda Black Mirror rischia seriamente di avverarsi.
Un po' a sorpresa arriva San Junipero, la puntata più solare di tutto lo show e ambientata nella omonima località marittima, in un colorato 1987 pieno di neon e cabinati arcade. Le protagoniste formano una coppia omosessuale, un legame che apparentemente sembra violare le leggi dello spaziotempo. Quando viene rivelato l'elemento tecnologico nascosto, la puntata affronta temi molto più drammatici, fra i quali l'eutanasia, in modi semplici ma diretti nella loro potenza narrativa. L'autore di Black Mirror in questa storia non condanna la tecnologia, ma al contrario la dipinge come una felice via di fuga per persone tormentate dai propri dolori fisici e mentali. E per la prima volta in tre stagioni, la vicenda si conclude con un "happy ending", seppure leggermente forzato.
Black Mirror con questa terza iterazione dimostra di aver raggiunto la piena maturità: partito con un generico timore per un futuro angosciante, lo show è diventato una critica a tutto tondo alla società tecnologica nelle sue sfaccettature più varie. Perché la tecnologia può permettere un futuro felice, sempre se l'uomo lo desidera.
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