Approvvigionamento: La soluzione ai ritardi nella consegna e ai problemi con i fornitori

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a cura di Alessandro Crea

L’incertezza degli ultimi anni, tra Covid e tensioni internazionali, ha contribuito ad aumentare le difficoltà nei rapporti tra aziende e fornitori, mettendo in luce l’importanza, per le imprese, dell’adozione di tecniche di approvvigionamento efficienti ed efficaci. Nel gergo aziendalistico, il processo di reperimento dei beni e servizi necessari al funzionamento dell’impresa viene chiamato procurement. Il procurement si articola in varie fasi: le imprese devono, tra le altre cose, valutare e selezionare un fornitore e negoziare l’accordo; monitorare la puntuale ricezione delle forniture e gestire le relazioni con i fornitori per tutta la loro durata.

Una modalità particolarmente innovativa di gestione del procurement è rappresentata dall’utilizzo di software ad hoc, che consentono di gestire digitalmente, in maniera semplice e veloce, tutte le fasi dell’approvvigionamento.

La questione è importantissima: in effetti, è chiaro come la capacità di reperire beni a prezzi competitivi e di rispondere prontamente ai rischi legati a questo tipo di attività (ad esempio, ritardi nelle forniture, difficoltà di reperimento delle materie prime, e non solo) sia fondamentale, in quanto può avere un impatto diretto sui profitti dell’impresa.

Vi segnaliamo l'uscita del nostro nuovo video che tratta proprio la tematica del procurement

https://www.youtube.com/watch?v=R_RwzDLznFk

Ma vediamo insieme, più da vicino, di cosa si tratta.

Procurement: Scegli il fornitore più adatto al tuo business

Quando l’impresa necessita di un bene, si trova solitamente davanti tre opzioni: la scelta è tra il build, buy or partner. Il che significa che l’azienda deve scegliere se svolgere al proprio interno l’attività/produrre il bene necessario; acquistare beni già completi; individuare un partener con il quale lavorare.

Se la scelta ricade sul buy, il primo nodo da sciogliere riguarda, come abbiamo già anticipato, la selezione del fornitore. Dello scouting dei fornitori, nazionali e internazionali, si occupa solitamente l’ufficio acquisti dell’azienda, che valuta i diversi soggetti prendendo in considerazione vari elementi: il prezzo del bene/servizio, la velocità della consegna, l’affidabilità e l’ubicazione del fornitore, nonché i servizi post-vendita offerti, come ad esempio assistenza e garanzia. Per una valutazione più precisa dell’offerta poi, è frequente che al fornitore venga inviata una richiesta di preventivo.

Questo preventivo è però vincolante in qualche modo?

La richiesta di un preventivo non è, ovviamente, un contratto. Dal punto di vista giuridico, è una proposta di contratto che un soggetto fa ad un altro e che serve, essenzialmente, a predeterminare il prezzo della prestazione.

In pratica, però, la questione non è sempre così chiara. Accade spesso infatti che, mentre il cliente ritenga di non essersi ancora impegnato, il fornitore sia di opinione contraria, e sostenga che il documento sottoscritto valga come accordo vincolante. Come si può capire chi ha ragione?

In casi di dubbio come questi, vengono in soccorso le regole dettate dal Codice civile e le decisioni della Cassazione. Innanzitutto, bisogna chiarire che il solo fatto che un documento sia denominato “preventivo” non basta a negare la sua natura di contratto. Per valutare se un documento sia o no un contratto bisogna verificare che abbia avuto luogo il c.d. “incontro della volontà delle parti”, cioè che la proposta sia stata accettata e che entrambe le parti abbiano avuto intenzione di sottoscrivere un accordo vincolante. Inoltre, un contratto deve contenere l’indicazione precisa di tutti gli elementi dell’accordo: se il documento contiene solo indicazioni di massima, ad esempio in relazione al prezzo, non potrà essere considerato come contratto.

Le differenze fra acquisto diretto e indiretto

Nell’ambito dell’acquisto, è possibile individuare alcuni elementi che è necessario prendere in considerazione per determinare quale sia la disciplina applicabile al rapporto e quale tipologia di accordo sia più adatta a soddisfare le esigenze dell’impresa.

Una prima distinzione fondamentale è tra acquisti diretti e acquisti indiretti. Si dice che l’acquisto è diretto quando l’impresa si rivolge direttamente al fornitore, si qualifica invece come indiretto l’acquisto effettato tramite un intermediario. Nel secondo caso, sempre più spesso l’intermediario è un B2B online marketplace: queste piattaforme (tra le più famose possiamo citare Alibaba) consentono ai fornitori di offrire una varietà di prodotti o servizi ai potenziali clienti commerciali, semplificando notevolmente il processo di scelta e selezione del fornitore. E infatti, il mondo del procurement non è rimasto indifferente davanti alla comodità del servizio: nonostante sino ad oggi il si sia mostrato piuttosto diffidente nei confronti di questi soggetti, si tratta sicuramente di un settore destinato ad espandersi.

Come comportarsi con i fornitori europei

Tra le altre caratteristiche fondamentali del rapporto, ricordiamo la provenienza geografica del fornitore e il bene/servizio acquistato: vediamo subito quali sono le differenze e le relative ripercussioni sugli accordi.

In base all’ubicazione di azienda e fornitore, infatti, può cambiare la legge applicabile: nessun problema si pone se le parti sono, ad esempio, entrambe italiane; ma quali leggi si applicano se, come accade sempre più spesso, provengono da Paesi differenti?

Innanzitutto, bisogna distinguere tra il caso in cui entrambe le parti risiedano in paesi membri dell’Unione Europea, oppure no. Nel primo caso, si applica la disciplina dettata dal Regolamento europeo n. 593/2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), che sancisce un principio fondamentale: quello della libertà di scelta della legge applicabile. Quindi, sono le parti a scegliere da quale legge è disciplinato il contratto e possono cambiare la loro scelta, di comune accordo, in qualunque momento.

Se le parti non scelgono, il Regolamento fissa alcuni criteri che aiutano a determinare quale sia la legge applicabile nei vari casi, in base alla tipologia di contratto. Ad esempio, nel caso di vendita di beni, la legge applicabile è quella del paese nel quale il venditore ha la residenza abituale; quanto al contratto di prestazione di servizi, invece, è disciplinato dalla legge del paese nel quale il prestatore di servizi ha la residenza abituale, e così via.

E come agire con i fornitori extraeuropei

Se invece il fornitore ha sede al di fuori dell’Unione Europea, viene in soccorso la Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di beni mobili, c.d. Convenzione di Vienna (CISG) del 1980. La Convenzione, che si applica in più di 90 Stati (tra cui anche l’Italia), sancisce una serie di regole che si applicano alle vendite internazionali (escluse le vendite di alcuni beni particolari, come navi, aliscafi ed elettricità).

La disciplina dettata dalla Convenzione si sostituisce in tali casi alle legislazioni dei singoli paesi: in questo modo, contribuisce alla rimozione delle barriere legali nel commercio interazionale e, dunque, alla promozione del suo sviluppo. Comunque, la priorità viene data sempre alla volontà dei contraenti: l’articolo 6 della Convenzione, infatti, prevede che le parti possano escluderne l’applicazione o derogare ad alcune delle sue disposizioni.

A quale tribunale rivolgersi in caso di controversie?

Individuata la legge applicabile, c’è un’altra domanda che complica i rapporti internazionali: a quale tribunale ci si può rivolgere in caso di controversia? Innanzitutto, chiariamo che si tratta di un problema totalmente slegato dalla scelta della legge applicabile; comunque, anche in questo caso dobbiamo distinguere tra contratti internazionali e contratti stipulati tra soggetti europei:

  • per i contratti internazionali, si applica la Convenzione sugli accordi di scelta del foro (L’Aja, 2005). La Convenzione stabilisce che l’accordo espresso e stipulato per iscritto tra le parti, a proposito della scelta del foro è considerato esclusivo, se non diversamente specificato. “Scelta esclusiva del foro” significa che le parti devono designare, in caso di controversia, i giudici di un determinato Stato oppure uno o più specifici Tribunali, indicati con espressa esclusione di ogni altro giudice. La Convenzione, in sostanza, è volta a garantire il rispetto della volontà delle parti: gli Stati che applicano la convenzione sono infatti tenuti a riconoscere ed eseguire la decisione resa dal giudice designato.

  • per i contratti europei, si fa invece riferimento al Regolamento (UE) 1215/2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale all’interno dell’Unione Europea, che detta specifici criteri per l’individuazione del giudice competente.

Le clausole fondamentali nei contratti di fornitura

Arriviamo finalmente all’analisi delle opzioni che si presentano nel momento della scelta dello strumento contrattuale, scelta che dovrà ricadere sul contratto più idoneo a soddisfare le esigenze dell’impresa.

I contratti più diffusi, in Italia, nell’ambito del procurement, sono sicuramente la vendita e la somministrazione. La vendita non ha certo bisogno di presentazioni: in diritto, si dice che il suo effetto è il trasferimento della proprietà di un bene, in cambio del versamento di un prezzo. Anche la somministrazione serve all’acquisto di beni, ma si differenzia dalla vendita perché prevede una prestazione di cose continuata o periodica, ed è quindi più indicata a soddisfare necessità ricorrenti dell’azienda.

Sempre al fine di rendere l’accordo il più vicino possibile alle esigenze dell’azienda, l’inserimento di clausole volte a prevenire o ad agevolare la soluzione dei diversi problemi che potrebbero presentarsi nel corso del rapporto. Tra le clausole che non mancano quasi mai dagli accordi ricordiamo:

  • la clausola penale. Viene inserita nel contratto allo scopo di predeterminare le conseguenze di eventuali inadempimenti o ritardi nell’inadempimento degli obblighi risultanti dal contratto. Più precisamente, con la penale si quantifica forfettariamente quanto dovrà essere corrisposto al contraente “danneggiato” da parte del soggetto responsabile del ritardo/inadempimento. Attenzione però, perché la penale potrebbe essere un’arma a doppio taglio: da una parte, dà il vantaggio di rendere la somma dovuta dal debitore indipendentemente dalla prova del danno; dall’altra, ha anche l’effetto di limitare l’entità del risarcimento alla sola somma pattuita. Questo secondo effetto può essere evitato prevedendo espressamente la risarcibilità del c.d. danno ulteriore, ovvero del danno il cui valore ecceda la somma pattuita, la cui sussistenza dovrà però essere provata.

  • la clausola di esclusiva. si trova spesso nei contratti di somministrazione e può essere pattuita sia a favore del somministrante, che a favore dell’avente diritto alla somministrazione. Nel primo caso, farà sorgere in capo all’impresa il divieto – con alcune limitazioni - di ricevere prestazioni della stessa natura da parte di soggetti diversi da quello con il quale è stata pattuita la clausola di esclusiva; nel secondo caso, sarà il somministrante a non poter compiere – anche in questo caso, solo in determinati casi – prestazioni della stessa natura di quelle che formano oggetto del contratto, a favore di altri soggetti.

  • il patto di riservatezza (Non Disclosure Agreement). Con l’accordo o patto di riservatezza le parti si impegnano a non diffondere informazioni che una o entrambe le parti preferiscono mantenere private. Un’azienda, ad esempio, potrebbe voler proteggere il proprio know-how per evitare che se ne impossessi la concorrenza. Al patto di riservatezza si affianca tipicamente la previsione di una penale, che predetermina il quantum dovuto in caso di violazione.

Dopo aver visto in cosa consiste il procurement, quali siano le leggi applicabili agli accordi e i contratti più comunemente stipulati, è giunto il momento di capire quali siano le principali problematiche legate all’attività, spesso indicate con l’espressione “procurement risk”, e quali siano gli strumenti messi a disposizione dalla legge per affrontarle.

Procurement risk: i rischi pericolosi della standardizzazione contrattuale

Se pensare a un contratto ti fa venire in mente l’immagine di due professionisti che discutono un accordo clausola per clausola e che si stringono la mano quando hanno trovato un’intesa, sappi che si tratta di un’immagine che, oggi, è sempre meno aderente alla realtà. Sempre più diffusa è invece l’ipotesi dell’adesione alle c.d. condizioni generali di contratto, che si inscrive nel fenomeno della standardizzazione contrattuale. In concreto, si tratta della predisposizione da parte delle grandi imprese di contratti di contenuto identico destinati ad essere utilizzati per una molteplicità di rapporti, che non sono quindi oggetto di trattativa, ma di mera adesione da parte del contraente, il quale può solo scegliere di aderire o meno allo schema predisposto.

Si tratta di una pratica estremamente popolare, perché comoda e veloce; d’altro canto, per chi si trova costretto a scegliere tra “prendere o lasciare”, può presentare numerose insidie. Il contraente che si limita ad “aderire” all’accordo si trova infatti in una posizione di oggettivo svantaggio nei confronti di chi ne predispone il contenuto: e allora, com’è possibile difendersi?

La risposta va cercata nel Codice civile, nel quale si trovano due norme volte a ribilanciare i rapporti tra le parti: il riferimento è agli articoli 1341 e 1342. Il primo articolo impone al soggetto che predispone il contratto di ottenere la sottoscrizione per iscritto delle c.d. clausole vessatorie, ovvero quelle clausole che, secondo la legge, sono particolarmente svantaggiose per una parte; grazie al requisito della doppia sottoscrizione, che è previsto a pena di inefficacia, è più plausibile che l’aderente le abbia conosciute e coscientemente accettate.

La disposizione successiva si preoccupa di assicurare la prevalenza delle clausole frutto di trattiva eventualmente aggiunte dalle parti al modello di contratto. Presumendo che scaturiscano dalla volontà di entrambe le parti e siano dunque favorevoli alla parte debole, si prevede che, in caso di difformità rispetto alle previsioni del modello predisposto, esse prevalgano sempre.

Cosa fare in caso di ritardo nella fornitura

Un’altra problematica tipica nell’approvvigionamento è quella dei ritardi nelle forniture. In linea generale, chi viene danneggiato dal ritardo ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno, ovvero al rimborso sia delle perdite subite, sia del mancato guadagno derivante dal ritardo. L’unico modo in cui il fornitore ritardatario può evitare di pagare, è provando che il ritardo sia dovuto a una causa a lui non imputabile (artt. 1218 ss cc).

Inoltre, come già anticipato, le parti possono inserire nel contratto apposite clausole penali, con le quali si prevede che in caso di ritardo la parte sarà tenuto a pagare una determinata somma.

In concomitanza dello scoppio dell’emergenza coronavirus e dei conseguenti, inevitabili ritardi e inadempimenti nelle consegne di beni e di servizi, il Governo ha introdotto una norma volta a sollevare espressamente da responsabilità le imprese qualora detti ritardi/inadempimenti siano dovuti al rispetto delle misure di contrasto alla pandemia. In particolare, il c.d. decreto cura Italia (d.l. n. 18 del 17 marzo 2020) all’articolo 91, prevede che «Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti». In questo modo si impone al giudice di tenere conto, ai fini della valutazione della responsabilità del soggetto inadempiente, del suo adeguamento alla misura di contenimento governativa.

Cosa fare in caso di un eccessivo aumento nei costi della prestazione?

Un’altra problematica comunissima a fronte dell’emergenza sanitaria e delle tensioni internazionali è l’aumento vertiginoso dei costi di beni e materie prime, e il conseguente aumento dei costi di numerosissimi contratti, tra cui anche quelli di fornitura.

Per alcuni contratti, tra i quali rientrano i già citati di somministrazione e preliminare, la legge prevede la possibilità di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. L’“eccessiva onerosità sopravvenuta” sussiste quando la prestazione diventa eccessivamente costosa per una delle parti, determinando una profonda sproporzione tra le prestazioni, che va oltre l’incertezza e le variazioni che possono normalmente investire un contratto. Lo squilibrio, inoltre, deve essere causato da eventi straordinari e imprevedibili (art. 1467 cc). Volendo evitare la risoluzione del contratto, la parte contro la quale essa è domandata – ovvero la parte non gravata dall’eccessiva onerosità sopravvenuta – può offrire di modificare equamente le condizioni di contratto, accettando quindi di ridurre gli oneri gravanti sull’altra parte.

La gestione dei rapporti con i fornitori è un’attività tanto complessa quanto cruciale per la vita dell’impresa. Per questo, conviene affidarsi a dei professionisti realmente esperti nel settore: ti puoi rivolgere allo Studio Legale FCLEX (con sede a Bologna, ma si può procedere anche completamente online) chiedendo dell’Avvocato Giuseppe Croari.

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