Negli Stati Uniti, un recente sondaggio ha rivelato che il 63% degli impiegati accetterebbe uno stipendio più basso pur di lavorare da remoto. Questo fenomeno non è isolato, ma rispecchia una tendenza globale verso la flessibilità lavorativa. Qualcosa che c’entra con la diffusione della tecnologia, dalle connessioni veloci ai software di condivisione, e con l’intelligenza artificiale e l’aumento di produttività che rende possibile.
Per i lavoratori remoti, poi, il “taglio” potrebbe essere solo virtuale,visto che non spostarsi più da casa infatti significa eliminare le relative spese. Per il datore di lavoro il vantaggio sarebbe ovvio.
Accetteresti uno stipendio più basso per lavorare da remoto?
Sicuramente sarebbe un modo interessante di sfruttare le nuove occasioni create dalla tecnologia in generale e dalle IA in particolare, anche se è ormai piuttosto evidente che le IA servono soprattutto a sostituire le persone; ma è un problema che diventerà scottante solo tra qualche anno, mentre quello del lavoro remoto è un tema più immediato.
Anche in Italia ci sono tendenze simili. Per esempio, un recente sondaggio svela che due italiani su tre vorrebbero lavorare di meno. Un fenomeno comprensibile se si considera, secondo i dati OCSE, l’Italia è uno dei paesi dove si dedica più tempo al lavoro.
Anche nel nostro Paese alcune aziende stanno venendo incontro a questa necessità con settimane più corte, con lo smart working e con altri strumenti che cercano di cambiare l’equilibrio tra lavoro e vita privata.
A indagare la tendenza è anche il settimo rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale: viene fuori che il 67,7% degli occupati italiani in futuro vorrebbe ridurre il tempo dedicato al lavoro. Un’aspirazione trasversale rispetto alle età: lo desidera infatti il 65,5% dei giovani, il 66,9% degli adulti e il 69,6% degli over 50.
Parallelamente, continua l’articolo di Repubblica, molti lavoratori dichiarano di impegnarsi il meno possibile sul lavoro. Un atteggiamento che probabilmente è il sintomo di una vita lavorativa demotivante, per non dire frustrante.
Alla luce di tale realtà, cambiare il luogo di lavoro dall’ufficio all’abitazione - o altrove - potrebbe avere ricadute positive su diversi aspetti, sia per il lavoratore sia per il capo. Naturalmente la prima condizione, più che necessaria, è che si abbandoni definitivamente quella mentalità tossica per cui il lavoratore remoto è una persone che “fa finta di lavorare”. Sciolto quel nodo tutto il resto è in discesa.
Immagine di copertina: onlykim