Finora abbiamo visto errori più o meno gravi che hanno compromesso in parte o totalmente delle missioni. Qualcuno ha fatto ridere, qualcuno meno, ma in tutti i casi non ci sono state vittime umane. Purtroppo nella storia si sono verificati anche incidenti con vittime in carne ed ossa, e vogliamo ricordare due eventi non per puntare il dito contro qualcuno, ma perché è bene ricordare che molti hanno dato la vita per l'esplorazione spaziale, e che andare nello Spazio è rischioso, anche se con l'andirivieni dalla ISS sembra tutto facile a chi guarda video dal PC.
Parliamo del disastro dello Space Shuttle Columbia e dello Space Shuttle Challenger. Lo Space Shuttle Columbia fu il secondo costruito nell'ambito del programma Space Shuttle e il primo a volare nel 1981. Era il 1 febbraio 2003 quando il Columbia rientrava in orbita dopo la sua 28ma missione, ma non atterrò mai: e si disintegrò uccidendo i sette astronauti a bordo. Le indagini appurarono che al decollo si era staccato un pezzo di schiuma solida dall'External Tank, che era andato a colpire il rivestimento dell'ala sinistra creando un foro di 25 centimetri. Al rientro questa apertura ha permesso al calore di penetrare, di indebolire la struttura portante e di consentire alle forze aerodinamiche di disintegrarla.
Lo Space Shuttle Challenger invece il 28 gennaio del 1986 portò in volo verso la morte sette astronauti statunitensi, nonostante avesse compiuto in precedenza nove voli di successo. La commissione d'indagine, a cui prese parte anche il fisico Richard Feynman, scoprì che la causa dell'incidente fu il cedimento strutturale del serbatoio di idrogeno liquido, dovuto a un errore di progettazione dell'O-ring (una guarnizione circolare in gomma) di giunzione dei segmenti dei razzi. L'elasticità di questo componente fu compromessa dal freddo: la notte precedente la temperatura scese sotto allo zero. Ironia della sorte, se le temperature fossero state appena più calde l'incidente non si sarebbe verificato.
Crediti immagine. NASA