Lo scorso aprile, quando c'è stato il rilascio della seconda data release di Gaia, l'eccitazione nella comunità astronomica era palpabile. Questo eccezionale strumento è in grado, come avemmo già modo di analizzare in dettaglio in un articolo apposito, di osservare un numero incredibile di stelle con una precisione mai vista prima, misurandone i più importanti parametri astrometrici e fotometrici (ovvero relativi alla posizione, al movimento e alla quantità di luce emessa dall'astro).
Com'era prevedibile, la disponibilità di una tale mole di dati ha aperto la strada a una serie di nuove scoperte. Chiaramente, uno dei settori più gettonati è proprio quello relativo all'osservazione e alla caratterizzazione di nuovi esopianeti e grazie a Gaia è stato possibile di recente misurare per la prima volta la massa di un pianeta giovanissimo, formatosi da appena 21 milioni di anni (che occorre ricordare, in termine astronomici sono un battito di ciglia).
Lo studio in questione, pubblicato su Nature Astronomy, è stato effettuato dagli astronomi Snellen e Brown dell'Università di Leiden. Il pianeta in questione, Beta Pictoris b, in orbita attorno alla stella Beta Pictoris, era già stato scoperto nel 2008 grazie a osservazioni effettuate tramite il Very Large Telescope dell'ESO. Tuttavia la misura della massa in maniera pressoché definitiva è stata possibile solo di recente grazie alla precisione estrema fornita da Gaia. Infatti, gli astronomi, per raggiungere questo obiettivo, hanno utilizzato una tecnica estremamente ingegnosa.
Tutte le stelle sono caratterizzate da quello che viene chiamato moto proprio, ovvero la velocità di moto data dalla rotazione dell'astro attorno al centro della Via Lattea, proiettata sul piano del cielo. Questa misura ovviamente deve essere corretta rispetto al movimento del Sole e della Terra, anch'essi in moto attorno al centro della Galassia. In ogni caso, la presenza di un pianeta, come nel caso di Beta Pictoris b, può alterare questo moto, generando una sorta di oscillazioni causate dal moto di rivoluzione del pianeta stesso attorno alla stella. Più il pianeta è massiccio, maggiore sarà l'entità delle oscillazioni. Dalla misura di queste oscillazioni è possibile dunque ricavare la massa del pianeta.
Come potrete immaginare, si tratta di misure complicatissime e che richiedono una precisione estrema. Inoltre le misure sono complicate anche dal fatto che Beta Pictoris è una giovane stella di classe A, molto calda e soggetta a veloce rotazione e pulsazioni. Solo grazie al livello di dettaglio raggiunto da Gaia un'operazione del genere era realizzabile. Tuttavia, anche Gaia da sola non bastava. Infatti il moto proprio annuo è una quantità estremamente piccola, ragion per cui le misure ottenute dal satellite dell'ESA non erano sufficienti.
In soccorso degli scienziati però è arrivato il predecessore di Gaia, Hipparcos. Quest'ultimo ha terminato le sue osservazioni negli anni '90, ma i suoi dati hanno costituito il meglio che ci fosse in giro nel campo dell'astrometria fino al lancio di Gaia. Fortunatamente, Beta Pictoris era stata osservata proprio da Hipparcos, e pur essendo le osservazioni di quest'ultimo molto meno accurate, l'analisi dei dati combinati ha permesso di misurare la massa del pianeta con un buon grado di precisione. Beta Pictoris b è risultato essere un pianeta di tipo gioviano con una massa compresa tra le 9 e le 13 masse gioviane con un periodo orbitale superiore ai 22 anni.
L'eccezionalità di questa scoperta sta non tanto nella misura della massa in sé, ma nell'utilità che questa riveste, considerando la giovanissima età del pianeta, formatosi con ogni probabilità insieme alla sua stella o poco dopo. Infatti, questo tipo di informazioni consentono di caratterizzare al meglio i modelli di formazione planetaria, in particolare riguardo i giganti gassosi. I modelli in questione si dividono essenzialmente in due categorie. Il primo, definito cold-start, prevede la formazione di un nucleo roccioso che accresce materiale, prevalentemente gassoso, da un disco di accrescimento. Il secondo modello invece, detto hot-start, si basa sul collasso diretto di un disco di materiale che diventi instabile a causa di effetti gravitazionali e vada a formare direttamente il pianeta gigante. Esistono poi modelli intermedi tra questi due scenari, definiti warm-start.
In ogni caso, la conoscenza dei parametri fondamentali che caratterizzano il pianeta, come massa, temperatura, raggio, composizione, può consentire di fare previsioni su quale sia lo scenario più probabile che abbia condotto alla sua nascita. Inoltre, mentre un tempo potevamo solo osservare il nostro Sistema Solare e assumere che i modelli per esso elaborati potessero essere estesi a tutti i sistemi planetari (cosa che ha portato a diversi errori grossolani), ora è possibile fare l'operazione inversa: in base a quello che scopriamo riguardo la formazione degli esopianeti dovrebbe essere possibile caratterizzare meglio anche il Sistema Solare stesso.
Per questo motivo, Gaia si conferma essere una vera e propria miniera d'oro per l'astronomia. E pensate che siamo solo all'inizio...
Antonio D'Isanto è dottorando in astronomia presso l'Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania. La sua attività di ricerca si basa sulla cosiddetta astroinformatica, ovvero l'applicazione di tecnologie e metodologie informatiche per la risoluzione di problemi complessi nel campo della ricerca astrofisica. Si occupa inoltre di reti neurali, deep learning e tecnologie di intelligenza artificiale ed ha un forte interesse per la divulgazione scientifica. Da sempre appassionato di sport, è cintura nera 2°dan di Taekwondo, oltre che di lettura, cinema e tecnologia. Collabora con Tom's Hardware per la produzione di contenuti scientifici.
La Via Lattea è molto più estesa di quello che possiamo vedere, per averne un'idea leggete il libro (con molte illustrazioni) Dalla terra alle stelle. La terra. La luna. Il Sole. I pianeti. Le stelle. La via lattea. Le galassie.